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lunedì 5 ottobre 2009

Poesie
NON MI PENTO DI NIENTE
di Gioconda Belli
(aggiunta da Elisa)


Dalla donna che sono,
mi succede, a volte,
di osservare, nelle altre,
la donna che potevo essere;
donne garbate, laboriose,
buone mogli, esempio di virtù,
come mia madre avrebbe voluto.

Non so perchè tutta la vita
ho trascorso a ribellarmi a loro.

Odio le loro minacce sul mio corpo
la colpa che le loro vite impeccabili,
per strano maleficio mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti di nascosto del marito,
del pudore della sua nudità
sotto la stirata e inamidata
biancheria intima.

Queste donne, tuttavia, mi guardano
dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere "la brava bambina",
essere la "donna decente",
la Gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato,
dagli amici, dalla famiglia,
dai figli e da tutti gli esseri
che popolano abbondantemente questo mondo.

In questa contraddizione inevitabile
tra quel che doveva essere
e quel che è,
ho combattuto numerose
battaglie mortali, battaglie a morsi,
loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa -
con la psiche dolorante, scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali,
lacero le donne che vivono in me
che, fin dall'infanzia, mi guardano torvo
perchè non riesco
nello stampo perfetto dei loro sogni,
perchè oso essere quella folle,
inattendibile, tenera e vulnerabile
che si innamora come una triste puttana
di cause giuste, di uomini belli
e di parole giocose.

Perchè, adulta, ho osato vivere
l'infanzia proibita
e ho fatto l'amore sulle scrivanie
nelle ore d'ufficio,
ho rotto vincoli inviolabili
e ho osato godere
del corpo sano e sinuoso
di cui i geni di tutti i miei avi
mi hanno dotata.

Non incolpo nessuno. Anzi li ringrazio dei doni.

Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf:
ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino,
appena apro gli occhi,
sento le lacrime che premono,
nonostante la felicità
che ho finalmente conquistato,
rompendo cappe
e strati di roccia
terziaria e quaternaria,
vedo le altre donne
che sono in me,
sedute nel vestibolo
che mi guardano
con occhi dolenti
e mi sento in colpa
per la mia felicità.

Assurde brave bambine
mi circondano
e danzano musiche infantili
contro di me;
contro questa donna fatta, piena,
la donna dal seno sodo
e i fianchi larghi,
che, per mia madre e contro di lei,
mi piace essere.

Sempre questa sensazione
di inquietudine, di attesa d’altro.

Oggi sono le farfalle
e domani sarà la tristezza inspiegabile,
la noia o l’ansia sfrenata
di rassettare questa o quella stanza,
di cucire, andare qua e là
a fare commissioni,
e intanto cerco
di tappare l’Universo con un dito,
creare la mia felicità
con ingredienti da ricetta di cucina,
succhiandomi le dita di tanto in tanto,
di tanto in tanto sentendo
che mai potrò essere sazia,
che sono un barile senza fondo,
sapendo che "non mi adeguerò mai”,
ma cercando assurdamente di adeguarmi
mentre il mio corpo
e la mia mente si aprono,
si dilatano come pori infiniti
in cui si annida una donna
che avrebbe voluto essere 
uccello, mare, stella,
ventre profondo
che dà alla luce Universi splendenti,
stelle nove…

E continuo a far scoppiare
Palomitas nel cervello,
bianchi bioccoli di cotone,
raffiche di poesie
che mi colpiscono tutto il giorno
e mi fanno desiderare
di gonfiarmi come un pallone
per contenere il mondo, la natura,
per assorbire tutto e stare ovunque,
vivendo mille e una vita differente…

Ma devo ricordarmi che sono qui
e che continuerò ad anelare,
ad afferrare frammenti di chiarore,
a cucirmi un vestito di sole, di luna,
il vestito verde color del tempo
con il quale ho sognato di vivere
un giorno su Venere.


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